QUELLA MERAVIGLIOSA NOTTE CHE HO PASSATO CON UNA PROSTITUTA



E’ buio e la mezzanotte è ormai passata da un pezzo. Sto guidando lentamente osservando il fianco destro della strada illuminata da file di lampioni, sperando di trovarla lì, in piedi, fasciata nel suo vestito scollato e stretto, con in mano la borsetta sua fedele compagna.
Finalmente la vedo. E’ ritta e scruta le macchine che passano lente, in cerca di un cliente a cui ammiccare per far si che si fermi da lei. Accosto la macchina, abbasso il finestrino e la saluto invitandola a salire. Lei sorride apre la portiera e si accomoda sul sedile del passeggero. Riparto e mi fermo qualche centinaio di metri più avanti, davanti ad un parchetto con delle panchine.
Scendiamo dalla macchina e ci dirigiamo verso una panchina, ho una borsina in mano! Lei mi abbraccia, con gli occhi lucidi. E' l’ultimo dell'anno, e lei, è Alessandra, fa la prostituta ed è mia amica.
Ci sediamo, le sorrido e lei ricambia. Dalla borsa estraggo un pandoro che apro, e una bottiglia di spumante, che stappo, urlando “ AUGURI “. 
La conobbi un paio d’anni prima, mentre ero intento a mangiare una pizza a fine nottata, fuori da uno di quei localini che fanno soldi offrendo ai reduci del venerdì notte, cibo per asciugare l’alcool.
Vidi questa figura bizzarra avvicinarsi. Alta 1.60, visibilmente in carne, i capelli neri lunghi una spanna, arruffati e le rughe che le solcavano il volto. Ricordo d’aver pensato che mi ricordava quelle fotografie in cui si vedono quei paesaggi infiniti di terra rossa, spaccata dal sole. Solo che qui il sole non centrava nulla, quei segni erano frutto di una vita di strada che metteva a dura prova il suo fisico e la sua anima.
All’epoca aveva 52 anni, si prostituiva da 15, era tossica da 17 e viveva in strada, tra panchine, parchi e edifici abbandonati, da 9 anni.
"Scusa ragazzo hai una sigaretta?".
"Te la darei se mi succhiassi il cazzo, ma dato che sei cessa, fanculo".
Mi giro e vedo gli occhi di lei lucidi, leggo nel suo sguardo la rabbia e l’umiliazione di chi vorrebbe ribattere, ma non lo fa, perché infondo pensa che ciò che le è stato detto, non sia poi così distante dalla triste realtà. Ormai sta iniziando a vedersi come la vedono gli altri.
E mentre lei guarda per terra, il coglione che le ha risposto così, se la ride con l’amico.
La scena mi disgusta. Le prepotenze su chi è vulnerabile, mi disgustano.
Sento qualcosa ribollirmi dentro. Non riesco a rimanere impassibile e quindi scatto verso di loro, estraggo due sigarette e le porgo alla donna, esclamando: ”Se vi azzardate ancora a mancarle di rispetto in questo modo, giuro su Dio che cavo gli occhi ad entrambi. Ora chiedete scusa!”.
Loro mi guardano, io li fisso con odio. Aspetto solo che reagiscano per avere un pretesto e far loro del male. Ma non reagiscono, pronunciano un debole “scusa” guardando la donna e poi si allontanano a testa bassa.
Mi accendo una sigaretta, lei mi allunga la mano, “Io sono Alessandra, è bello sapere che ci sono ancora bravi ragazzi in giro”. Le stringo la mano presentandomi, e iniziamo a parlare. Mi racconta che fa la prostituta, che vive in strada e che è dipendente dalle boccette di coca. Tra una sigaretta e una confidenza passa un’oretta senza che me ne renda conto, e quando mi congedo ci stringiamo nuovamente la mano in segno di rispetto reciproco.
Da quella notte, ogni volta che esco e vado in via Milano a prender delle birre, o a finir la serata mangiando un trancio di pizza, la incontro e faccio sempre volentieri due chiacchiere con lei, mentre ci fumiamo una sigaretta.
E’ una persona buona, vera, conscia di tutti i suoi difetti e disillusa nei confronti della vita. Ha sperimentato sulla sua pelle cosa significa toccare il fondo e quanto gli uomini possano essere animaleschi e brutali.
Nonostante questo però, nei suoi occhi c’è la fierezza di chi comunque non ha smesso di lottare, pur sapendo che la battaglia è ancora lunga.
Io la vedo un po' come una zia, e lei a volte penso mi veda come un figlio.
Un paio di anni fa era il 30 Dicembre e stavo entrando al supermercato per far la spesa, quando mi accorgo che lei è lì all’entrata che chiede qualche moneta a chi passa. Nonostante il freddo, e le feste di natale in pieno svolgimento, nessuno la degna di uno sguardo. Tutti la ignorano, come se non esistesse, forse per preservare la propria coscienza. Fa più comodo far finta che certe cose non esistano, perché altrimenti dovremmo mettere in discussione questa società e anche noi stessi per come ci relazioniamo agli altri.
La saluto, e ci fumiamo una sigaretta mentre le chiedo come se la passi. Lei come ogni donna orgogliosa che si rispetti mi risponde che sta bene, anche se i suoi occhi dicono ben altro.
Mi chiede cosa farò il giorno dopo per festeggiare l’ultimo dell’anno, e le rispondo che andrò a cenare da mia mamma che è a casa malata, e poi raggiungerò gli amici, dopo mezzanotte.
Lei mi guarda, e scoppia a piangere. Cazzo piange davvero, non l’avevo mai vista in quello stato. Si copre il viso con le mani, perché non vuole che la veda così. Le accarezzo la spalla e le chiedo di spiegarmi che succede. Singhiozzando mi dice che vorrebbe avere un figlio come me, che i suoi due non le parlano più da anni, non rispondono nemmeno alle sue chiamate. Aggiunge che è tutta colpa sua, che non li biasima. Mi dice che hanno cercato per anni di aiutarla con la sua dipendenza ma lei non li ha mai ascoltati, e che a una certa hanno gettato la spugna.
E’ lì in piedi davanti a me, e ammette i suoi sbagli, si colpevolizza, come se stesse confessando i suoi peccati in cerca di un’assoluzione che sappiamo entrambi, non ho il potere di darle.
La abbraccio mentre continua quel suo pianto sincero e liberatorio.
La gente passa e con la coda dell’occhio guarda la scena: un ragazzo giovane che abbraccia una prostituta tossica. Storcono il naso, forse dimenticandosi che quel capellone chiamato Gesù, per cui vanno in Chiesa la domenica, e raffigurato nel crocifisso d’oro che portano al collo, con le prostitute ci parlava, e le trattava con rispetto. Ma fanculo la loro ipocrisia, che pensino quel cazzo che vogliono, sono fiero della mia amicizia con la Ale e so per certo che a livello umano lei vale più di loro, nonostante tutti i difetti che ha.
Dopo qualche minuto io entro a far la spesa e lei se ne va. Nella testa però sapevo già cosa avrei dovuto fare.
Torniamo quindi alla scena iniziale, io che la cerco sul bordo della strada, dopo esser venuto via da casa di mia madre.
“AUGURI”
Le dico che anche se i suoi figli non sono lì, ci sono io, non è sola.
E cazzo, per la prima volta da quando la conosco, la vedo sorridere di gioia, gli occhi lucidi e illuminati. Un sorriso che non si può tradurre.
Rimaniamo su quella pancina un'oretta bevendo, mangiando e ridendo; mentre osserviamo le macchine passare veloci, e in lontananza nel cielo nero, vediamo i fuochi d’artificio esplodere.
Ad una certa mi abbraccia forte e mi dice:" Vai pure a raggiungere i tuoi amici, non vorrai passare tutta la serata con una vecchiaccia come me?". La stringo e le sorrido. Lei mi dice "grazie".
Io mi imbarazzo e le dico che non deve ringraziarmi, non ho fatto nulla di che.
Mi alzo, ma prima che vada, mi abbraccia ancora e mi guarda negli occhi con quello sguardo che hanno le mamme quando sono fiere dei figli.
Quello sguardo ancora lo ricordo, è una diapositiva attaccata sul muro della mia anima.
Salgo in macchina e parto, mentre nello specchietto retrovisore la osservo seguirmi con lo sguardo mentre mi allontano.
Racconto questo perché spesso non ci rendiamo conto di quello che ci circonda, di quanto un piccolo gesto, possa essere enorme, e di come alla fine tutti abbiamo bisogno di calore umano.

Ogni persona ha una storia che merita di essere ascoltata, e ogni persona ha un dignità che va rispettata.

Nella foto io e Alessandra.

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