FINO QUASI A MORIRE
L'Endoscheletro ci tiene in piedi, l'esoscheletro ci tiene
in vita.
Per valutare la vita di un albero basta contare gli anelli
all'interno del tronco, per valutare la vita di un essere umano basta contare
lo spessore della corazza che porta.
Ricordo una frase di Tolstoj in " Guerra e Pace ",
suonava più o meno così: "Se non esistesse la sofferenza, l’uomo non
conoscerebbe i propri limiti e nemmeno sè stesso ".
La sofferenza fa crescere, nel bene e nel male. Il nostro
" Io ", aumenta di volume, come l'osso che dopo un urto si rompe. Da
quella frattura nasce la consapevolezza della propria fragilità, e quindi si
ricalcifica, e diventa più grosso, più resistente. Allo stesso modo l'animo
umano cresce, e si trova in contrapposizione con quella corazza che ora pare
troppo stretta. Ma non è semplice accettare questa cosa. Ce la si dovrebbe
togliere, per poi crearne una nuova, più adatta alla propria nuova condizione. Il
problema però è che in questo lasso di tempo si starebbe nudi, vulnerabili.
Lui non vuole questo, lo pensa mentre la mano percorre le cicatrici di una vita che ha sul corpo, che siano visibili o meno, rimangono a perenne monito. Mai fidarsi, mai abbassare la guardia.
Lui non vuole questo, lo pensa mentre la mano percorre le cicatrici di una vita che ha sul corpo, che siano visibili o meno, rimangono a perenne monito. Mai fidarsi, mai abbassare la guardia.
E più si autoconvince che rimanere nella vecchia corazza sia
la scelta migliore, più si scontra col dolore che questa gli provoca. Si sente
soffocare, sente di non potersi muovere, e intanto i giorni passano, passano i
sogni, passano le occasioni, e lui rimane lì, al sicuro dagli altri, ma in
balia di se stesso.
E ci prova a muoversi, cazzo se ci prova! Urla, stringe i
denti, bestemmia, e ogni passo che fa, è uno sforzo immane. Non riesce a
concentrarsi sul paesaggio che lo circonda, è troppo concentrato sulla fatica,
sul dolore che prova camminando.
A volte si ferma, e in lontananza nella notte fredda vede la
luce di un fuoco, ne respira l'odore di legna bruciata portato a lui dal vento.
Dio solo sa quanto vorrebbe raggiungerlo, quanto ne avrebbe bisogno, dopo
giorni, mesi anni di freddo. Allora urlando riparte, passo dopo passo, ma è
troppo doloroso e difficile, e quando dopo sforzi immani arriva al falò è
troppo tardi, sono rimasti solo un paio di tizzoni ardenti e della cenere. Ma
lui ha bisogno di quel calore, quindi quei tizzoni li afferra. Sente la pelle
bruciare, ma non prova dolore, ormai è abituato a ben altro. Si sente vivo,
mentre il tizzone si spegne stretto nella morsa della sua mano, mentre la carne
ormai è ustionata, lui non sente male, lui sente per un istante, un po' di quel
calore superstite di ciò aveva visto da lontano, ma che ha raggiunto troppo tardi.
Si contempla le mani, la pelle scura per le infinite ustioni,
delle infinite volte che è arrivato tardi, a testimonianza del suo non
arrendersi, no quello mai, arrendersi vorrebbe dire morire, e la vita è una
cosa troppo bella, per lasciarla andare.
E ad un tratto un pensiero attraversa la sua mente, forse
potrebbe rischiare, potrebbe togliersi l’esoscheletro che lo comprime, e stando
cauto, molto cauto, costruirsene uno nuovo, in cui star bene, della sua misura.
I giorni passano e come la goccia d'acqua scava la pietra,
quest'idea scava la sua convinzione, rende sfuocata la sua paura, alimenta la
sua speranza.
Come fare?
E se dovesse sbagliarsi, se si trovasse poi al freddo? Se
rinunciasse anche ad accontentarsi si quel minimo calore dato dai tizzoni?
Passa del tempo, e il fatidico giorno arriva. Vede in
lontananza l'ennesimo falò, ma questa volta lui non urla, non inizia a muoversi
in direzione del calore. Rimane fermo immobile, lo fissa, trema. Cazzo, trema
fottutamente. Si raggomitola, ma il freddo è tanto, il tremore è quasi
assordante, ma ad ogni scossa, una crepa compare nella corazza. Deve resistere,
non può esserci ricostruzione senza demolizione. Quindi rimane lì, il vento
porta a lui l’odore di legna, sembra lo faccia apposta, sembra voglia tentarlo,
come il canto delle sirene per Ulisse. La sua mente inizia a fargli percepire a
tratti il calore che potrebbe sentire se si avviasse verso il fuoco, sta per
cedere e abbandonare il suo piano. No! Ritorna in sè e urla. Urla fino a
perdere la voce, urla per farsi sentire da se stesso: " O TUTTO O NIENTE!
O TUTTO O NIENTE! O TUTTO O NIENTE! "
Chiude gli occhi, si sente morire, ma se così dovesse essere
fanculo, non c'è ricompensa per chi non rischia.
Continua a contrarsi, e le crepe aumentano, sente
sgretolarsi anni di dolore, il freddo ora entra anche da quelle fessure, e
sembra insopportabile.
"O TUTTO O NIENTE, O TUTTO O NIENTE"
Rimane lì per giorni, mesi, gli occhi socchiusi, un animale
stremato, facile preda per bracconieri di anime.
Ma riesce a scoraggiarli ringhiando. Se solo sapessero che
non ha la forza di difendersi in quel momento, sicuramente lo ucciderebbero. Ma
non lo sanno, loro sanno che è un guerriero, e un lupo rimane lupo anche se
ferito, mentre un cane rimane cane anche se nel pieno delle forze.
Poi, un giorno si sveglia e sente più freddo del solito. Si
osserva e capisce il perché, la vecchia armatura giace di fianco a lui, è nudo.
Fortunatamente la prima fase è finita, quindi si alza, e inizia a correre.
Corre verso il fuoco, corre come mai aveva corso prima, e ci arriva in tempo, e
vede le fiamme da vicino, e ne sente il calore, e la legna che scoppietta. Si
siede mentre il suo sguardo si perde tra le mille sfumature di rosso delle
fiamme, che si intrecciano come radici. Si agitano come onde di un mare in
tempesta. Chiude gli occhi, e si abbandona a quel tepore, a quel piacere,
godendosi il momento che tanto aveva sognato per anni.
E' ben conscio che la sfida non è finita. Sa che ora è vulnerabile,
sa che deve adoperarsi per costruirsi un'altra corazza e lo farà il prima
possibile. Questa notte però no. Questa notte i pensieri li accantona, le paure
le soffoco, le ansie le zittisce. Questa notte ha deciso che vuole solo essere
felice.
Ringrazio Luca "LUGOSIS" per l'illustrazione.
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