QUELLA VOLTA IN CUI MI HANNO QUASI UCCISO

Tutto ebbe inizio in uno di quei pomeriggi estivi dominati da afa e umidità. Quelle giornate in cui sudi anche stando fermo e ogni sforzo sembra più faticoso del normale.

Camminavo a passo spedito in direzione del parchetto in cui tutti noi adolescenti andavamo a prender da fumare. Nella mano destra una sigaretta, nella sinistra una Heineken da 33 e la fronte imperlata di sudore.

Insomma una scena normalissima, un adolescente che si reca a prendere del fumo per poi raggiungere i suoi amici e farsi due risate fumando tutti insieme qualche canna. Solo che quel giorno decisi di fare il passo più lungo della gamba.

In mattinata a scuola, un mio compagno mi aveva regalato 50 euro falsi, dato che non aveva il coraggio di usarli. Erano fatti molto bene, quindi in maniera spavalda accettai e dissi che io ci sarei riuscito.

Avevo optato per far la mossa da uno spacciatore, dato che non aveva la macchinetta per controllare e sicuro non avrebbe chiamato la polizia se si fosse accorto della fregatura.

Quindi conscio del fatto che ci fossero una miriade di altre variabili, eccomi lì a sfidar comunque la sorte. Avrei chiesto un ventino, e mi sarei beccato pure 30 euro veri di resto.

Arrivato al parco un marocchino venne verso di me, gli dissi cosa volevo e incominciò a trafficare col suo borsello.

Io cercavo di sembrare il più tranquillo possibile, lui mi porse il pezzo di hashish e afferrò la mia banconota, la guardò per qualche istante, anche se a me sembrò un tempo infinito, e poi mi dette i 30 euro di resto e se ne tornò dai suoi compari.

Ce l’avevo fatta, l’avevo fregato. L'adrenalina mi scorreva nel corpo, avrei voluto saltare ma mi dovevo trattenere, quindi con calma incominciai ad attraversare il parco per tornarmene a casa. Ad un tratto però mi ritrovai accerchiato dai tre spacciatori, che sventolavano la banconota falsa. Mi avevano beccato.

Uno dei tre tirò fuori un coltello e iniziò a minacciarmi, io ero fottutamente paralizzato dalla paura.

Mi guardai in giro ma nessuno era nei paraggi, vicino a me solo una panchina vuota.

Decisi di bluffare, quindi presi la bottiglia e la spaccai contro il legno, per poi puntarla verso il marocchino con la lama.

Questa mossa li sorprese, e in verità sorprese pure me.

Ero comunque conscio che in uno scontro sarei finito bucato come uno scolapasta. Iniziai a maledirmi per essermi ficcato in quella situazione.

Uno dei tre tirò un calcio, che schivai arretrando mentre loro avanzarono.

Ad un tratto vidi un tipo correre verso di noi. Bestemmiai pensando che a breve si sarebbe passati da un tre contro uno a un quattro contro uno.

Il tizio nuovo si mise a parlare in arabo con gli altri tre, nel mentre io stavo in guardia e con la coda dell’occhio cercavo un modo per scappare, ma non avevo vie di fuga.

Lui urla con loro, loro mi guardano e urlano contro di lui, lui urla più forte.

Ad un tratto l’ultimo arrivato mi dice: "ridai a loro il fumo e i 30 euro, e la cosa finisce qui".

Non sapevo se fidarmi o meno, ma non avevo molte alternative, quindi feci come mi venne ordinato, e mi venne restituita dai tre la banconota falsa, strappata a metà. scampata, quindi ho fatto come diceva. E in cambio mi e' stata ridata la banconota falsa, anche se strappata in due.

I tre se ne andarono e io rimasi lì immobile. Guardai quell’uomo che aveva appena fatto da paciere salvandomi la vita. Era di corporatura grossa, non troppo alto, capelli riccioli neri e occhi verdi.

Lo ringraziai e lui sorridendo mi disse di non far più una cazzata simile, che sarebbe potuta finir male.

“Ora puoi anche buttarla” mi disse indicando la bottiglia rotta nella mia mano. La tensione mi aveva fatto dimenticare di averla ancora.

Gli chiesi perché fosse intervenuto, e mi rispose che quei tre gli stavano sul cazzo perché vendevano anche eroina e quindi era stato un piacere farlo.

Si sedette sulla panchina e mi chiese se volessi fumare una canna, accettai.

Fu così che nacque la mia amicizia con Maher che in arabo significa “capace, bravo”, per tutti “Mario“.

Aveva 33 anni all'epoca, veniva dall’Egitto ed era un ex cecchino dell’esercito.

Era scappato in Italia qualche anno prima, dopo che aver disertato. Era qui clandestinamente ma preferiva correre il rischio, piuttosto che continuare a uccidere per il suo Paese.

Mi sembrava una storia da film, ma col passare dei mesi diventammo amici e un giorno al parco mi portò delle fotografie. Mostravano lui in divisa, con altri soldati, cecchini come lui, riconoscibili dai fucili di precisione che impugnavano. Insomma era tutto vero. Non mi volle mai parlare di ciò che fu costretto a fare in Egitto, mi disse solo di non uccidere mai, perché non è come si pensa, le persone uccise non ti abbandonano, ti si attaccano alla schiena, all’anima e non ti mollano; sia di notte che di giorno.

Passarono anni e ogni volta che ero da quelle parti, lo andavo a salutare. Lui era sempre intento a leggere seduto nell’erba o a pregare.

Poi un giorno scomparve per un mese circa. Chiesi di lui alla gente che bazzicava il parco, ma nessuno sapeva che fine avesse fatto.

Lo ritrovai tempo dopo collassato su una panchina, ubriaco. I vestiti logori, la barba incolta i capelli spettinati e cartoni di vino ammucchiati per terra.

Mi avvicinai salutandolo ma lui non rispose, aprì gli occhi e poi li richiuse. Chiesi cosa fosse successo e girando la testa dall’altra parte, mi disse di andarmene.

Rimasi a fissarlo. Non sembrava lui, non era la persona forte e composta che conoscevo. Era fragile, indifeso. Gli appoggiai due sigarette sulla pancia e me ne andai. Non riuscivo a capacitarmi di ciò che avevo visto.

Il giorno dopo decisi di tornare, ed era ancora lì, sulla panchina, in una posizione diversa ma sempre ubriaco.

Lo salutai e lui non mi rispose nuovamente. Insistetti e lui mi ringhiò di andarmene. Lo afferrai per il collo e gli urlai di dirmi che cazzo di problema avesse. Si alzò barcollando e cerco di spingermi, io lo schivai e lo feci cadere nell’erba, gli bloccai i polsi e ci guardammo, occhi negli occhi.

Scoppiò a piangere.

Mentre lo aiutai a mettersi seduto sulla panchina mi chiese scusa, mentre le lacrime sgorgavano a litri.

Gli appoggiai una mano sulla spalla, lui si accese una sigaretta e continuando a guardar per terra mi disse

" Hanno ucciso mio fratello in Egitto, era l’unica persona che mi era rimasta, stava lavorando per poi raggiungermi e insieme saremmo andati in Germania tra un anno, ora non ho nulla, sono solo ".

Rimanemmo in silenzio entrambi. Mi accesi una sigaretta e la fumai lentamente, come fosse un alibi per non dover dir nulla.

Da quel giorno tutto andò peggiorando. Perse i lavori che aveva, incominciò a viver per strada, ed era ubriaco quasi tutti i giorni.

Io cercavo di stargli vicino come potevo, ma non era più lui.

Ci conoscevamo da anni, ma ora era tutto diverso. Non aveva più voglia di vivere.

Un giorno mi diede un braccialetto, voleva ricambiare il mio gesto della settimana prima, gli avevo portato delle scarpe vecchie che non usavo più, dato che le sue ormai erano piene di buchi.

Gli dissi che mi mancava il mio amico MAHER , che nel suo nome c'erano le sue qualità, "Capace, bravo", che si doveva riprendere.

Mi ricordo che mi guardò con gli occhi rossi, per il vino e il pianto e mi abbracciò.

Fu l’ultima volta che lo vidi. Tornai spesso in quei luoghi, ma di lui nessuna traccia.

Chiesi a chiunque ma nessuno sapeva che fine avesse fatto.

Quando ripenso a lui, agli anni passati insieme, ai discorsi, alle risate, mi si inumidiscono gli occhi.

Penso che forse avrei potuto far di più, che forse avrei potuto salvarlo, ma poi mi ricordo che non si può aiutare chi non vuole.

Non so se sia vivo. A me piace pensare che in Germania ci sia andato, che si sia fatto una vita, e che ogni tanto ripensi a quel ragazzino idiota di 16 anni a cui salvò la vita tanti anni fa e con cui strinse un’amicizia forte.

Mi rimangono i ricordi dei momenti condivisi in 4 anni, e quel bracciale che mi regalò l’ultima volta che lo vidi, che tengo in camera e che mi ricorda che le persone buone esistono.

Nella foto, il braccialetto regalatomi da Maher.